La Casa di Cura M. F. Toniolo è nata negli anni cinquanta quando
l’ Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia individuava, nel contesto della sanità italiana, la necessità di un modello di cura diverso da quelli affermati negli ospedali e nelle cliniche: un modello per il quale si intendeva “servire i malati, prima i poveri poi gli abbienti, sostenendo tutti nello spirito, dopo averli serviti nel corpo, ed aiutandoli,all’ occorrenza, nell’ anima religiosa”.
Lo scopo era innanzitutto servire l’ uomo non solo nella sua dimensione biologica, ma nell’ interezza della sua persona, nella sua dimensione corporea, spirituale e mentale. L’ atto del servire nel linguaggio evangelico (e nell’ideale del Fondatore, di Suor Lamberta e delle Consorelle) è l’espressione più alta di un sentimento d’ amore che nasce dalla consapevolezza di un rapporto fraterno che lega e mette in relazione le persone.
Il modello assistenziale dell’ Alleanza Terapeutica, che si delineerà nel mondo della sanità molto più avanti nel corso dei decenni, è stato sin dall’ inizio il cuore della mission della Casa di Cura.
Secondo il concetto di Alleanza Terapeutica si vuole stabilire un patto di fedeltà tra i diversi protagonisti dell’ opera assistenziale; innanzitutto tra il medico e il paziente, in cui ciascuno reca il proprio apporto: il medico contribuisce con le sue conoscenze professionali, le sue abilità operative, le sue competenze comunicative, mentre il malato manifesta la sua volontà, ma anche i suoi desideri, le sue convinzioni di coscienza, i livelli di salute che intende perseguire, compatibilmente con la sua unica e irripetibile situazione esistenziale.
In secondo luogo tra gli operatori sanitari (medici internisti, specialisti, infermieri, psicologi, fisioterapisti, tecnici, impiegati, ecc.) e le diverse persone (familiari, assistenti, religiosi, ecc.) che possono essere presenti nella cura dello stesso malato. La malattia diviene sempre di più un luogo di incontro fra persone. È necessaria una continua comunicazione e collaborazione tra curanti e malati, ove collaborazione significa condividere impegno, speranza, difficoltà, problemi, preoccupazioni, obiettivi e progetti. In tal modo tutti sono meno ‘soli’ di fronte alla malattia.
Fin dal suo sorgere nel 1955 la Casa di Cura ha avuto a cuore la realtà dei poveri. Le Suore della congregazione erano animate dalla convinzione che fosse necessaria “una struttura propria …al fine di poter favorire malati poveri, operai, mutuati, sacerdoti, religiosi/e ed offrire loro un servizio evangelico di alto livello per prestazioni medico-sanitarie”, “accogliere come membra di Gesù crocifisso i sofferenti, soprattutto i più poveri e bisognosi,…curarli con dedizione e delicatezza, ed aiutarli a vivere la sofferenza con serenità e dignità, come mezzo di redenzione per tutti” (Cost. 71).
Poi nel corso dei decenni, dagli anni cinquanta ad oggi, cambiamenti evolutivi sono avvenuti nella nostra società. Nel 1978, in applicazione del dettato costituzionale, è nato in Italia il Servizio Sanitario Nazionale con cui lo stato si fa pienamente carico della tutela della salute dei cittadini; un compito che espleta nei confronti di tutti i cittadini, di qualunque strato sociale o condizione. Questi sviluppi hanno portato l’ Istituto ad ulteriori riflessioni ed approfondimenti riguardo al rapporto della Casa di Cura con i poveri che comunque rimangono nella considerazione privilegiata delle Suore. Altre povertà (oltre a quella economica) sono presenti nella società: sono di varia natura ed è vivo il desiderio che nessun settore di umanità vada lasciato sprovvisto di una presenza attiva di servizio. E fra tutte queste altre forme di povertà la malattia rappresenta una condizione di particolare importanza e drammaticità.
E’ stata ribadita negli anni un’ indicazione già presente nei documenti fondativi della Casa di Cura: l’esclusione di qualsiasi fine di lucro. Tutti i guadagni, fatta esclusione di ciò che viene reinvestito nella valorizzazione delle risorse umane e negli aggiornamenti strutturali e tecnologici, vengono destinati al mantenimento delle missioni dell’ istituto con tutte le loro molteplici attività caritative e di sostegno allo sviluppo nei paesi del terzo mondo. In questo modo vengono sostenute ad esempio le missioni in Angola e Togo dove l’attenzione principale è alla salute e all’istruzione e il Piccolo Cotolengo a Bahia Blanca in Argentina dove si assistono persone con minorità gravi e di cui lo stato argentino non riesce a farsi carico. Si cerca così di operare una sorta di perequazione economica nell’ orizzonte più vasto delle povertà globali.